Bambini e cibo: vietare per ottenere

Milton Erickson desiderava che suo figlio minore mangiasse le verdure, ma il figlio non era dello stesso avviso. Più volte la madre insistette col figlio, ma niente e nessuno poteva smuoverlo dalla sua decisione.
Erickson allora prese a vietargli di mangiarle: “Le verdure sono solo per i bambini più grandi, non le puoi mangiare”.
Gli disse queste parole più volte, per diversi giorni, finché un giorno il figlio chiese: “Papà, adesso sono abbastanza grande per mangiare le verdure?”.A tavola, il compito del genitore dovrebbe essere quello di far seguire al bambino una corretta alimentazione e invogliarlo a mangiare tutto ciò che è importante per crescere in salute.
Non sempre, però, ciò che l’adulto propone al bambino riscuote successo immediato: la tavola è uno dei luoghi ideali per “avere il coltello dalla parte del manico”.Spesso, l’ora dei pasti si trasforma in teatro di ricatti e sfide che i piccoli provocatori intraprendono per mettere in discussione le regole appena stabilite dall’adulto. Ciò che accade poi è che, di fronte a tali manifestazioni, ci si sente più fragili, e si cede, assecondando le bizze del figlio per paura che non mangi più.Il danno è presto fatto: il momento piacevole del pasto si trasforma in una circostanza infernale.Gestire i capricci a tavola: cosa non funziona?
In un’unica parola, non funziona l’esortazione. Ovvero, tutti quei tentativi che vanno dalla richiesta rigida del “mangia e zitto!”, a quella del ricatto “se mangi ti compro un regalo”.Il forzare e fare pressioni
È il comportamento più utilizzato dagli adulti che si trovano a fronteggiare il problema: il bambino rifiuta di mangiare un alimento, il genitore tende a insistere nel tentativo di far mangiare il figlio sperando che ceda.
Questo perché l’eventualità che il figlio possa mangiare di meno, o addirittura saltare il pasto crea angoscia e genera fantasie catastrofiche: “non mangerà, non crescerà, avrà problemi”.
L’insistenza si trasforma man mano in costrizione, mette il bambino a disagio e gli impedisce di vivere la sensazione del piacere che dovrebbe accompagnare l’esperienza del pasto. Proseguendo su questa linea, arriveranno presto i capricci e i rifiuti ostinati che porteranno l’interazione genitore-figlio verso l’innescarsi di vero e proprio “braccio di ferro”.

L’invogliare e il promettere
In altri casi, di fronte al rifiuto di mangiare qualcosa il genitore promette premi o ricompense in cambio del piatto pulito. Molti genitori hanno difficoltà a tollerare i conflitti con i propri figli, e per questo, trovano come via d’uscita proprio la contrattazione. Giocattoli, permessi a cose di solito non consentite diventano la leva per cercare di estorcere che il figlio mangi. Purtroppo, quando questa soluzione diventa la regola, il bambino apprende che sarà sufficiente lagnarsi un po’ per riuscire a ottenere ciò che desidera. Anche in questo caso, il piacere di mangiare viene sostituito dal piacere di ottenere qualcosa.

Cosa funziona? Il vietare per ottenere
Interrompere le tentate soluzioni* del forzare e fare pressioni e dell’invogliare e promettere è il primo passo.
In terapia breve strategica rendiamo possibile ciò chiedendo ai genitori di impegnarsi nell’evitare di parlare del problema e nell’interrompere ogni forma di “forzatura” a mangiare.

Tale indicazione permette di ottenere una prima inversione di rotta del problema: i “vantaggi secondari” del comportamento problematico, ovvero i benefici che il bambino ottiene mantenendo quel comportamento, si interrompono.

A questo punto, segue la negazione, ovvero, il vietare per ottenere.
I genitori dovranno mettere in pratica alcuni piccoli boicottaggi, proprio come nell’aneddoto di Milton Erickson.
Dichiarare al figlio che certi cibi sono “solo per i grandi” vietandone l’assaggio; fare porzioni minime nel suo piatto, gustare pietanze prelibate in sua presenza ostentando piacere e, esclusivamente nei casi in cui il figlio si lamenta prima di essersi seduto a tavola, proibire di sedersi a tavola a mangiare o non apparecchiare per “chi non ha appetito”.
Cambiare rotta inserendo tali indicazioni e mantenendole per un certo periodo equivale a frustrare il sintomo e porta il bambino ad abbandonare la posizione rigida assunta fino a quel momento.

Attraverso una consulenza o una terapia breve strategica indiretta, i genitori potranno chiedere l’intervento più efficace per il proprio caso concordando con il terapeuta l’obiettivo da raggiungere.
Saranno sufficienti pochi ma incisivi incontri affinché i genitori acquistino maggiore sicurezza e capacità nella gestione del problema, fino a farlo svanire.  Per richiedere un appuntamento si rimanda qui.

* è il principale strumento operativo del lavoro strategico ed è rappresentato da tutti quei tentativi di soluzione ridondanti (azioni personali, pensieri soggettivi, dinamiche relazionali, emozioni dominanti, ecc) che costantemente la persona mette in atto nel tentativo di superare il problema, ma che invece di risolverlo lo amplificano.

Per approfondimenti si rimanda al libro “Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Problemi e soluzioni per il ciclo di vita”, G.NARDONE e l’Equipe del Centro di Terapia Strategica.

Dott. ssa Daniela Birello (Psicologo – Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica)

Per maggiori informazioni sul tema o per richiedere un appuntamento: danielabirello@gmail.com

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